Neotenia


Ciao a tutti, oggi è lunedì e si ricomincia a lavorare, ma almeno questo weekend abbiamo riposato, no? Io mi sono goduto un sabato sera tranquillo, ho guardato un film e cercato di riprendermi dalla settimana quanto più possibile, voi? Avete sfruttato il weekend in modo produttivo (per me rilassarsi, oltre ad essere un piacere, è funzionale alla vita e alla salute mentale)?
In questo articolo vorrei parlarvi di Neotenia, di cos'è e di come questo assunto di base, derivato dalla biologia, può essere uno spunto interessante per lavorare sull'educazione.
Cominciamo!
Stamattina, parlando con le mie colleghe, ragionavo sul fatto che l’essere umano è in una condizione precaria, una condizione di dipendenza dal nucleo familiare per un periodo di tempo decisamente prolungato: probabilmente è l’unico essere che resta incompleto a livello biologico anche per quindici anni e addirittura la maggiore età (che altro non è che il riconoscimento dell’effettivo raggiungimento dell’età adulta da parte dello stato) non arriva prima dei diciotto.
È molto interessante, perciò, cercare di introiettare il concetto che l’essere umano si contraddistingue dalle altre specie sulla terra anche per questi dettagli, oltre che per il fatto che, a livello sociale, la nostra specie attua la propria educazione al di fuori del contesto originale (ovvero, la maggior parte delle lezioni che vengono trasmesse a scuola/casa, vengono decontestualizzate), e che necessita quindi di tempistiche dilatate e di un diverso grado di esperienza per essere interiorizzata. 
Quando ci viene insegnata la storia, infatti, noi la impariamo in un’aula fondamentalmente asettica, così come non impariamo la geografia sul campo, e la maggior parte delle volte ci troviamo a parlare della cultura in Giappone senza mai esserci stati. I concetti della scuola, sia quelli prettamente didattici che quelli sociali e legati alla propria appartenenza al gruppo umano vengono quindi passati all'interno della classe, non nel contesto naturale, perciò in uno spazio dislocato e al di fuori di un momento temporale preciso.
Questa riflessione può esserci molto utile per ragionare sul concetto di “educazione permanente”, un assunto relativamente giovane, che si basa su un costrutto di questo tipo:
“l’uomo non finisce mai di educarsi, ma impara lungo un continuum che va dagli 0 ai 99 anni” 
Questo cosa vuol dire, in termini di applicabilità?

Presto detto: quando noi andiamo a lavorare sulle autonomie e quando noi andiamo a lavorare sugli apprendimenti, spesso ci concentriamo su un periodo di tempo estremamente ridotto, fissandoci sull'idea che il soggetto, dato un certo periodo di tempo, debba possedere determinate competenze, mentre in realtà non è detto che debba essere così a tutti i costi. Il bello della condizione umana del crescere in tempi dilatati, è proprio qui. Noi, infatti, dovremmo vedere l’educazione del bambino/ragazzo in un’ottica di proseguimento, senza una vera e propria regola di esclusiva temporalità, come ad esempio “se tuo figlio entro i 5 anni non fa una determinata cosa, allora hai un problema”. Al di là delle funzioni comunicative e motrici di base (peraltro misurabili) come parlare, scrivere e camminare, che sono situazioni misurabili e oggettive (se un bambino entro i 5 anni non cammina forse ha un problemino), non ci dovrebbe essere tutta questa fretta, tutto questo spingere per imparare tutto e subito, ed è giusto forse prendersi a volte il tempo di fare le cose con calma. Quando noi progettiamo in casa il setting, quando progettiamo l’ambiente di vita di nostro figlio o di un ragazzo (in questo caso di solito, almeno per me, è un ragazzo da educare), dobbiamo insomma tenere conto della variabile e della caratteristica che la neotenia comporta, ovvero che noi non possiamo chiedere un grado di autonomia superiore a quello che la nostra età e la nostra maturazione ci possono dare.
La nostra specie non ha un buon rapporto con l’autonomia precoce perché fino alla fine della pubertà lo sviluppo non è assolutamente idoneo e anche perché, a livello di stadi di crescita, un individuo finché non raggiunge un livello di maturità più o meno definito certe cose non riesce a metabolizzarle nel modo giusto.
Conviene quindi concentrarsi sul tempo presente, tenendo bene in mente il concetto chiaro che i ragazzi hanno bisogno di tempo, tempo e ancora tempo per fare esperienze e per imparare ad essere elastici.Un approccio corretto quindi dovrebbe tendere all'elasticità, qualità che rende capaci di individuare e comprendere i punti di forza e i punti dove si può migliorare, perché se mi trovassi un giorno, con mio figlio, a dovermi preoccupare soltanto dell’autonomia verbale, magari riuscirò a renderlo molto competente sollo quel profilo, ma poi è possibile che sul piano della competenza emotiva non saprà riconoscere in modo efficace suoi stessi bisogni, quindi saprà esprimere bene un bisogno del quale non sa riconoscere l'origine (il che equivale a non esprimersi affatto).


Cerchiamo quindi di essere elastici su questo pezzo dello sviluppo, diamo il tempo a tutte le facoltà di svilupparsi in modo omogeneo (anche se chiaramente non è possibile avere sempre il totale controllo su tutte le variabili ) e guardare, più che alla prevalenza di un fattore per noi importante, all'omogeneità. Questo secondo me è il fulcro dell’educazione dei ragazzi, perché essa dona al ragazzo la vera autonomia, dato che si troverà ad avere poche lacune importanti: se io dovessi arrivare a 18/20 anni ad avere una buona competenza linguistica (obiettivamente a diciotto anni è possibile che tu abbia una buona padronanza della tua lingua) e poi trovarmi con la lacuna importante di non conoscere il linguaggio emozionale/fisico sarebbe un problema, perché sarei effettivamente in grado di esprimermi, ma senza la possibilità di elicitare i miei concetti in modo efficace, e questo vale anche per l'esatto contrario, ovvero che dare troppa importanza alla componente emotiva delle situazioni senza poi dare modo o dare gli strumenti alla persona per esprimere le proprie emozioni, ha lo stesso effetto, ovvero il formarsi di frustrazione, nonché di occasioni di aggressività.
Detto questo, è molto importante che venga impostato in modo preciso un intervento educativo fin dalla prima infanzia, in modo da scegliere degli obiettivi chiari per avere sempre il quadro generale della direzione presa a livello educativo. Ricordiamoci sempre che le persone non sono sculture create ad arte e a proprio piacimento dall'estro di un mastro scultore ma sono entità complesse, che richiedono attenzione, progettazione e una riflessione continua sulle unicità proprie dell'individuo.
Vi consiglio caldamente, se non lo conoscete, figli fragili di Stefano Benzoni, che è un libro molto interessante sullo sviluppo dei ragazzi, dove si parla di psichiatria, di psichiatrizzazione; in particolare ho trovato interessanti soprattutto i primi capitoli, dove si parla proprio dello sviluppo e della rincorsa costante al mito dell’autonomia, che si rivela sempre più come un falso mito.
L’autonomia, infatti, è una cosa bellissima, è un principio interessante ed è una meta molto importante a cui tendere nella vita…ma la vita è lunga e l’apprendimento di conseguenza si dovrebbe spalmare nell'arco di essa. Perciò non incaponiamoci a rincorrere un’autonomia che non può essere completa (a causa dell’età e della conseguente immaturità cognitiva) e cerchiamo di puntare, invece, ad uno sviluppo sano ed omogeneo, non patologico ecco, perché spesso è quello che salva tutto, educare senza fretta e senza il rischio si andare a creare degli scompensi da altre parti.


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